Shugyo.

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Se amate la vita comoda lasciate perdere questa disciplina, la capacità di rinnovare l’universo viene dalla grazia non dalla logica. Un’illuminazione, qualsiasi essa sia, arriva dopo che la strada del pensiero è stata bloccata; e se volete oltrepassare questa barriera dovete lavorare con ogni parte del vostro corpo, con ogni poro della vostra pelle, saturati da questa domanda: ”che cos’è Mu?”.

Non si creda che il comune simbolo negativo non significhi nulla, non è il nulla l’opposto dell’esistenza; bisogna praticarlo non parlarne, deve essere come un muto che ha fatto un sogno, lo conosce ma non lo può raccon- tare. L’illuminazione a cui mira l’Aikido, e per cui esso stesso esiste, viene da se stessa; è come la coscienza, in un momento non esiste ed il succes- sivo esiste; purtroppo troppo spesso l’uomo, per sua natura, cammina nel suo tempo come camminasse nel fango, trascinando i piedi e con essi la sua vera natura.

Praticare l’Aikido non è come voler arrivare ad una risposta attraverso la mente ordinaria, la quale lavora sulla concettualizzazione delle cose, ma piuttosto di capire direttamente che i nostri concetti non potranno mai darci una risposta soddisfacente; nessun concetto, nessuna idea, nessun lavoro intellettuale potranno mai dare la risposta a ciò che cerchiamo. 

Questo però non vuole dire abbandonare tutto e lasciare semplicemente che i fiori sboccino. La pratica va sì al di là della ragione ma questo non è un invito a distruggere o negare l’intelletto, semplicemente la “realtà” non deve essere catturata con il pensiero, con una frase o una spiegazione; non dobbiamo quindi liberarci dell’intelletto umano credendolo negativo, dob- biamo semplicemente prendere coscienza che può solamente costruire dei modelli di realtà ma non la realtà stessa.

Il problema comune è che restiamo invischiati nelle nostre costruzioni mentali e le scambiamo per la “realtà”; questa però non può essere costruita, esiste già e, quasi sempre, mai come crediamo di averla capita. L’annaspare nella ricerca di spiegazioni e soluzioni concettuali è la causa degli infiniti problemi del praticante; infatti nel momento stesso in cui afferriamo (o crediamo di averlo fatto) un concetto, tralasciamo la realtà vera e propria, la nostra mente concettuale è altamente impegnata a pensare, analizzare, controllare, pianificare, compiacersi; per essa tutto diventa bianco o nero, giusto o sbagliato, amico o nemico.

La salvezza? Potrebbe essere la libertà del non attaccamento, la non parti- colarità di ogni cosa, di ogni pensiero che incontriamo, e addirittura di noi stessi.

Shugyo – pratica austera – rappresenta il periodo nel quale il praticante si dedica alla ripetizione ascetica delle tecniche; ciò vuol dire praticare senza consapevolezza? Aspettando fiduciosi e sicuri che prima o poi arriverà il momento dell’illuminazione? “Presenza a voi stessi” – “Qui e ora” – sono solo alcune delle frasi si sentono dire ripetutamente dai maestri, ma cosa significano in realtà?

Chi riesce a capirle vede da lontano la strada per poter iniziare il proprio cammino, chi riesce a metterle in pratica sta lentamente camminando su quella strada sperando, un giorno, di avere raggiunto la consapevolezza di essere tutt’uno con tutto ciò che lo circonda, in ogni momento della gior- nata ed in qualsiasi situazione; riuscirà così ad assaporare completamente ed a sentirsi parte integrante del tutto in ogni frazione temporale della sua vita.

Per il momento… pratichiamo.